Freud, Sigmund |
S. Freud (1856-1939) nacque a Freiberg (Pribor) in Moravia da Jakob, la cui famiglia proveniva dalla Galizia, e Amalie Nathanson. Il nonno, il bisnonno e vari altri membri della famiglia erano rabbini. Il padre, commerciante di lane, si sposò due volte. Dal secondo matrimonio nacquero Sigmund (primogenito) e altri sette figli (Julius, Anna, Rosa, Marie, Adolfine, Paula, Alexander). Dal primo erano nati Emanuel e Philipp, i quali, a Freiberg, vivevano accanto al padre. Il figlio di Emanuel, John (n. 1855), fu il primo compagno di giochi di Sigmund. Nel 1859 la famiglia Freud si spostò a Lipsia e poi a Vienna (1860), mentre i fratellastri Emanuel e Philipp emigrarono a Manchester. A Vienna si svolse tutta la lunga avventura intellettuale di Freud, anche se essa, a seguito dell'annessione dell'Austria da parte della Germania nazista, si concluse a Londra dove, arrivato nel 1938, mori l'anno successivo. Primogenito maschio, possibile candidato dunque, secondo la tradizione ebraica, ad essere il Messia, Freud fu sempre il preferito della madre e certamente anche il padre puntò molto su di lui. Il biografo E. Jones (1953) sottolinea come la madre avesse, fin dalla nascita di Sigmund, grandi aspettative nei suoi confronti e come in famiglia la cosa fosse risaputa. Freud stesso lo ricorda, nell’Interpretazione dei sogni (1899a), collegando questa aspettativa al suo essere ebreo. L'appartenenza problematica, del tutto laica ma indiscutibile all'ebraismo costituisce una delle fonti del pensiero e dell'indipendenza di giudizio di Freud e a vari livelli -dalle numerosissime storielle yiddish citate nelle sue opere, soprattutto in Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905), fino a L'uomo Mosè e la religione monoteistica (1938) - si manifesta come una delle componenti costantemente importanti del suo pensiero (Freud, 1924J). Liceale studioso - e a volte dispotico in casa: obbligò la sorella Rosa ad abbandonare lo studio del pianoforte perché disturbava il suo studio -, Freud fu attratto, oltre che dalla cultura classica, dalle scienze. Dopo un'esitazione iniziale (era incerto se studiare giurisprudenza) si iscrisse alla facoltà di medicina di Vienna. Qui ebbe modo di frequentare, oltre ai corsi scientifici, anche le lezioni e i seminari di F. Brentano, alcuni elementi del cui pensiero costituiranno alcune delle categorie di base della metapsicologia psicoanalitica. Ancor più importante fu, però, la frequentazione e la partecipazione ai corsi di fisiologia, tenuti da E. Brücke, esponente importante della scuola fisicalista tedesca. I motivi fondanti della formazione culturale e scientifica di Freud furono dunque il fisicalismo, la filosofia di Brentano, l'ebraismo, ai quali va aggiunta l'esperienza della clinica francese, in particolare l'approccio teorico-clinico di J.-M. Charcot, conosciuto durante un soggiorno a Parigi nel 1885. Nel settembre 1886 Freud sposò Martha Bernays e nel 1889, quando nacque il secondo figlio (la prima, Mathilde, era nata nel 1887), lo chiamò Jean-Martin. Un altro motivo fondante alla base del pensiero di Freud - qualitativamente distinto dagli altri - fu costituito dall'autoanalisi (Anzieu, 1959), ossia dalla progressiva, complicata, difficile ma costante opera di analisi della sua stessa attività psichica, a partire soprattutto dai propri sogni, e scatenata anche dalla morte del padre nell'ottobre 1896. L'Interpretazione dei sogni, opera che chiude un secolo e ne apre davvero un altro, è a un tempo l'opera che inaugura un nuovo orizzonte agli sguardi dell'umanità e il frutto di questo lavoro autoanalitico che schiude a Freud un nuovo orizzonte su di sé, come egli stesso sottolinea nell’ Introduzione alla seconda edizione. Perché la convinzione profonda sottesa sia all'impresa autoanalitica sia a quella scientifica è sostanzialmente universalistica: benché ciascun individuo realizzi un'esistenza differente da quella di qualsiasi altro, tutti gli individui sono costruiti con gli stessi elementi, sono soggetti alle medesime leggi, sono animati dagli stessi desideri, sono spinti dalle medesime pulsioni. In questa prospettiva, le diverse sindromi psicopatologiche sono sempre costrutti che da un lato (quello fenomenico) mostrano, quasi isolandole per maggior chiarezza, alcune caratteristiche umane, dall'altro (quello teorico) consentono di declinare con maggior precisione il peso che queste caratteristiche possono avere per ciascuno. Perciò lo studio delle nevrosi, delle psicosi e delle perversioni è sempre funzionale, nel pensiero di Freud, alla comprensione dell'umanità e, dopo esser stato perseguito minuziosamente e ripetutamente, deve poi riportare a questa dimensione generale. Per lo stesso motivo, un filone del suo pensiero sarà sempre occupato dallo studio delle realtà prodotte dall'uomo e che pure si sono in qualche modo rese relativamente autonome dall'uomo singolo, determinando un gioco di condizionamento e di rimodellazione reciproca senza fine tra individuo e collettività: la realtà delle culture, delle mitologie, delle religioni. Le date dei saggi pubblicati su questi ultimi temi mostrano uno stretto parallelismo con quelle delle opere cliniche o metapsicologiche. Il primo periodo, che si può datare dal viaggio in Francia (1885) al 1899, è quello delle grandi scoperte e della prima grande costruzione teorica che culmina con la scrittura nell'Interpretazione dei sogni. Il secondo, dal 1900 al 1918, vede Freud elaborare le grandi costruzioni teoriche metapsicologiche e uscire definitivamente dall'isolamento viennese. Il terzo, dal 1919 al 1938, è quello caratterizzato dalla rifondazione delle ipotesi metapsicologiche (in particolare con la costruzione della concezione strutturale dell'apparato psichico e della formulazione finale della teoria delle pulsioni) e dalla problematizzazione del rapporto tra individuo e cultura. Costante in questi tre periodi è l'approfondimento della psicoanalisi clinica e del metodo psicoanalitico. Il primo periodo è segnato, sul piano personale, da un lato dalla presenza di grandi e autorevoli personalità, dall'altro dal tentativo tenace di conquistare una propria autonomia personale e di pensiero, anche al prezzo di un certo isolamento sociale e scientifico conseguente allo sconcerto provocato dalle sue scoperte (Freud, 1914e). E anche il periodo nel quale Freud si sposa e nascono Mathilde, Jean-Martin, Oliver (1891), Ernst (1892), Sophie (1893) e Anna (1895). L'eredità di Brücke, presente anche nella prolungata consuetudine professionale, scientifica e umana con J. Breuer (allievo di Brücke e anch'egli più anziano di Freud), e l'esperienza con Charcot, oltre ad aver segnato Freud sul piano culturale e scientifico raffigurano anche modi per poter rappresentare - magari cercando figure intermedie, come quella di W. Fliess (Freud, 1887-1904), tramite le quali poter inseguire un proprio pensiero - le vicissitudini del proprio rapporto con gli oggetti primari e in particolare con il padre. Solo al termine di questo periodo, quando il dolore per la morte del padre lo obbliga e insieme gli consente un ripensamento generale, egli potrà consentirsi l'avventura dell'autoanalisi e, insieme, l'esperienza della creatività scientifica. Nel frattempo il più grande progetto creativo da lui tentato (il Progetto di una psicologia, scritto alla fine dell'estate 1895 e inviato nel settembre a Fliess) era stato accantonato e sconfessato. Verrà ritrovato da M. Bonaparte nel 1937 tra le carte conservate da Fliess e pubblicato solo nel 1950. Sul piano scientifico, l'esperienza parigina consente a Freud un primo salto qualitativo nella pratica clinica e nell'audacia teoretica: lo studio dell'isteria, attuato con Breuer a partire dall'uso del metodo ipnotico e del contributo teorico di Charcot, gli permette di elaborare progressivamente il metodo catartico e poi quello psicoanalitico, insieme alla scoperta delle determinanti traumatiche delle nevrosi. L'elaborazione progressiva del metodo delle libere associazioni, attuabile mediante l'istituzione di un determinato contesto (ciò che ora viene chiamato «setting» o «cornice») e l'applicazione di determinate regole, è frutto sia della costante attenzione al dato clinico (è la prima paziente trattata da Freud, la signora Emmy von R., a «chiedere» di esser lasciata libera di parlare, di non essere interrotta) sia della propensione di Freud alla ricerca (piuttosto che alla «cura» come veniva attuata allora, egli era interessato alla ricerca della genesi dei sintomi isterici, come scrive nell’Autobiografia). I saggi clinici e quelli teorici contenuti negli Studi sull'isteria (1892-95) illustrano le modalità reali di costruzione del metodo e l'elaborazione delle scoperte effettuate con esso: perciò Freud non volle mai modificarli, come chiarisce anche nella nota finale al caso di Emmy. In un primo tempo, Freud ritenne che il trauma sessuale infantile o tardoinfantile fosse alla base della isteria (se subito passivamente) e della nevrosi ossessiva (se provocato attivamente) e che questo evento, incompreso nell'infanzia, dispiegasse tutto il suo potere patogeno allorché, dopo la pubertà, un altro evento - anche puramente psichico - aveva la possibilità di connettersi inconsciamente al primo. Ma dovette presto disilludersi amaramente (lettera a Fliess del 21 settembre 1897), sia di fronte alle risultanze cliniche sia di fronte alla sua stessa analisi: le scene di seduzione erano perlopiù creazioni fantastiche dei pazienti. Si impose così, pur senza escludere l'esistenza (e non così infrequente come l'ipocrisia sociale vorrebbe) di traumi sessuali reali occorrenti durante l'infanzia, la realtà della fantasia inconscia di desiderio e il fatto che, nella realtà psichica (inconscia), le regole e le esigenze della realtà materiale non valgono. Soprattutto, Freud elaborò una teoria della rimozione, ossia del meccanismo complesso che consente di eliminare dalla coscienza i contenuti psichici inaccettabili - perché incompatibili con la realtà o con i principi morali - teoria che egli considerò sempre uno dei pilastri della psicoanalisi. Il metodo delle libere associazioni si precisò man mano come lo strumento adatto sia a porre in evidenza le resistenze al trattamento indotte dalla rimozione, sia a consentire lo sviluppo (e poi l'interpretazione) del transfert, ossia dell'altro fondamentale fenomeno che Freud osservò e gradualmente riconobbe in questi anni, dapprima considerandolo una resistenza al trattamento, poi riuscendo a concepirlo come la condizione necessaria perché esso vada a buon fine. Il riconoscimento della realtà psichica, celata dalla rimozione ma rivelata poi dal transfert, consenti lo studio sia della psicosessualità infantile (la cui ricostruzione sistematica avvenne poi nei Tre saggi sulla teoria sessuale, del 1905) sia dell'inconscio e delle sue regole di funzionamento, illustrate a fondo nell'Interpretazione dei sogni. Di quest'ultima opera va sottolineata l'importanza perché le scoperte effettuate tramite il metodo delle libere associazioni - e in primo luogo naturalmente la scoperta del funzionamento psichico che porta alla formazione del sogno - costituiscono un nucleo fondamentale della ricerca freudiana. Il lavoro psichico necessario per produrre, a partire dai desideri inconsci e dai residui diurni, quel fenomeno che, allo stato di veglia, viene ricordato come sogno, illustra anche come il metodo delle libere associazioni possa riscoprire le vie che portano alle formazioni rimosse e, ancor prima, alle resistenze che si oppongono al loro accesso alla coscienza. Questa ricerca - essenzialmente psicologica - e le scoperte cui porta pongono però degli interrogativi sul «che cosa» possa produrre questi fenomeni e sul «come» sia possibile rappresentare questo «che cosa». E a questo punto della sua ricerca che Freud elabora allora un metodo di costruzione della teoria che può prescindere totalmente dall'uso - anche solo metaforico - di una terminologia neurologica. Questo metodo, che integra i dati dell'esperienza in un costrutto astratto quanto più possibile razionale - e che criticamente consente anche di porre in evidenza le aree fenomeniche inesplorate o inesplicate - viene dispiegato nel settimo e conclusivo capitolo dell'Interpretazione dei sogni, costituisce la base della metapsicologia psicoanalitica ed è la conclusione di un lungo lavoro di ricerca e di modellazione (Petrella, 1988) iniziato da Freud già con il lavoro (pre-psicoanalitico) sulle afasie (Freud, 1891). Il secondo periodo (dal 1900 al 1918) è quello della maturità di Freud, segnata dalla fine dell'isolamento, dalla costituzione a partire dal 1902 di un gruppo di psicoanalisti viennesi e poi (dal 1904) dai contatti con la clinica zurighese diretta da E. Bleuler, dalla fondazione della Società internazionale di psicoanalisi (1910) ma anche dai conflitti con A. Adler, W. Stekel e soprattutto con C. G. Jung, dapprima fantasticato come possibile erede dell'impresa psicoanalitica e infine lasciato al suo destino. E anche il periodo che si conclude con la Prima guerra mondiale e la disfatta dell'Impero austroungarico, ossia con la fine di un mondo (e anche delle fortune economiche di Freud). Dal punto di vista scientifico, le due opere che segnano la volontà di Freud di fare il punto sulla propria ricerca sono gli scritti della Metapsicologia (1915C) e le lezioni di Introduzione alla psicoanalisi (1915-17) ma, com'è caratteristico dello sviluppo del pensiero di Freud, si tratta di opere che indicano anche nuove linee di ricerca da percorrere o che, addirittura, preannunciano il proprio superamento, com'è il caso, ad esempio, di Lutto e melanconia, l'ultimo dei cinque saggi metapsicologici, nel quale già si prospetta la necessità del superamento della concezione topica, e della sua iscrizione nella costruzione delle istanze psichiche (Io, Super-io e Es) che avverrà negli anni '20. Del resto, nel 1914 Freud aveva già scritto un saggio (Introduzione al narcisismo) che implicava problemi solo in parte affrontati poi negli scritti metapsicologici e che costituirà la base per un ripensamento generale dell'economia psichica e della stessa dottrina delle pulsioni. Sono di questo periodo anche i due gruppi di scritti sulla tecnica (Tecnica della psicoanalisi, 1911-12 e Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, 1913-14), preceduti un decennio prima dal saggio sul Metodo psicoanalitico freudiano (1903). Soprattutto, sono di questo periodo i casi clinici: quello di Dora nel 1905, quelli dell'uomo dei topi e del piccolo Hans nel 1909, quello del presidente Schreber nel 1910, infine quello dell'uomo dei lupi nel 1914. Accanto a questa produzione, e ad essa intimamente legata, si sviluppa la ricerca sulla «normalità», intesa come condizione abituale dell'umanità, a partire dalla Psicopatologia della vita quotidiana (1901), testo che si conclude con un vertiginoso capitolo sulla superstizione e il determinismo, nel quale si trovano le basi per una gnoseologia psicoanalitica ancora in parte da sviluppare. A questo libro fa seguito quello sul Motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905b), l'articolo sulla morale sessuale «civile» e il nervosismo (1908c), Totem e tabù (1912-13) e quelle Considerazioni attuali sulla guerra e la morte (1915l) che, pur occasionate dallo scoppio della guerra, costituiscono una riflessione sulle pulsioni e il loro destino metaindividuale, completata e declinata solo nel 1929 in modo più complesso con il saggio sul Disagio della civiltà. In tutti questi scritti, benché ciascuno abbia un proprio tema specifico, sembra che Freud cerchi di individuare, descrivere e comprendere il gioco complesso, drammatico e pericoloso che si svolge continuamente tra ogni individuo e l'ambiente culturale nel quale vive: quest'ultimo, benché certamente prodotto dall'uomo (ma quando e come ? è possibile costruire delle ipotesi sulle origini di questa produzione che non abbiano esse stesse le caratteristiche del mito ? che statuto hanno le nostre costruzioni su questi temi ? Totem e tabù è la testimonianza delle incertezze e dell'ambiguità di questa ricerca, ma anche della sua necessità), è relativamente autonomo da esso e tuttavia costituisce uno dei due poli fondamentali (l'altro è quello pulsionale) entro i quali si svolge la vita dell'individuo e il suo tentativo di sviluppare una soggettività possibile e soddisfacente. La riflessione sulla condizione di incompletezza dell'individuo umano, la drammaticità della sua necessità iniziale di aiuto (già sottolineata da Freud nel Progetto), trova qui un dispiegamento singolare e tragico: l'individuo non soltanto non può sopravvivere da solo, ma può vivere esclusivamente in un contesto che da un lato contiene e rappresenta ciò che egli non può tollerare come proprio (ad esempio la propria violenza omicida) e dall'altro lo attraversa e lo permea continuamente, consentendogli di essere e di esistere (anche quando ha superato i conflitti infantili e adolescenziali, primo fra tutti quello, strutturante, del complesso edipico) solo attraverso gli altri, le forme di pensiero e di simbolizzazione date. Le pulsioni e la loro incidenza nella vita psichica costituiscono perciò - in quanto irriducibili alle norme - il contrappeso necessario al rischio sempre attuale di desoggettivazione o di totale alienazione dell'individuo ad opera dei meccanismi culturali. Il terzo grande periodo della vita di Freud è quello che va dal primo dopoguerra alla sua morte. Iniziato con la tragedia del crollo degli imperi centrali e con il disastroso dopoguerra nell'Austria sconfitta, subito seguito dal lutto per la morte di Anton von Freud (amico ed editore) e da quello, gravissimo, per la morte della figlia Sophie (1920), questo periodo è contrassegnato anche dalla lotta di Freud con il cancro al palato e alla mascella che gli viene diagnosticato nel 1923 e che lo costringerà a una serie interminabile di operazioni dolorose e mutilanti (Jones, 1953; Schur, 1972). Le morti di K. Abraham, di S. Ferenczi e di L. Andreas-Salomé costituiscono ulteriori gravi lutti. E, naturalmente, è il periodo che vede la nascita e la vittoria del nazismo in Germania, il rogo dei libri di Freud (Berlino 1933), l'annessione dell'Austria alla Germania, la necessità - rimandata fino all'ultimo - di prendere la via dell'esilio per poter morire libero (un ossimoro che gli sarebbe piaciuto) a Londra. Ma è anche il periodo della diffusione sempre più ampia della psicoanalisi sia nel mondo medico e scientifico sia in quello della cultura (Premio Goethe nel 1930). Ne è significativa testimonianza l'allocuzione per l'ottantesimo compleanno scritta da Th. Mann ma firmata da centonovantuno tra i maggiori scrittori e artisti dell'epoca. Alla fine della guerra, Freud ha già superato i sessant'anni: eppure è proprio ora che ha il coraggio di ribaltare molti dei punti teorici che riteneva acquisiti, sempre tramite il loro superamento all'interno di un nuovo costrutto che li comprende e, allo stesso tempo, li ridimensiona. E’ in questo periodo che il rapporto fra teoria metapsicologica, metodo di trattamento clinico e teoria della cultura si fa insieme più stretto e più complesso. Con Al di là del principio di piacere (1920) e poi con Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921) e L'Io e l'Es (1922) vengono sviluppate e radicalmente modificate le basi teoriche della psicoanalisi. Con lo scritto del 1920 la teoria delle pulsioni, già rimaneggiata nell’Introduzione al narcisismo, viene impostata in modo dualistico, ipotizzando, a fianco di Eros - pulsione che tende a costituire legami e a costruire unità sempre maggiori -, una pulsione di morte dotata di un proprio destino e di una propria finalità (quella del ritorno allo stato di quiete o di disorganizzazione), agente silenzioso ma costante all'opera nella distruttività umana sia a livello individuale che collettivo. Con la Psicologia delle masse il gioco delle pulsioni nell'individuo e nell'organizzazione sociale viene ulteriormente specificato tramite lo studio dell'identificazione e delle componenti ideali dell'Io. Infine, con L'Io,e l'Es, viene elaborata una grande, problematica sintesi della costruzione dell'apparato psichico, con la distinzione di tre istanze (Io, Super-io ed Es) differenziate anche se comunicanti, ognuna con compiti e funzioni propri. La conflittualità tra queste istanze -delle quali l'Io assume un ruolo centrale per l'individuo ma drammaticamente collocato in una continua opera di mediazione rispetto all'Es, alle pretese del Super-io e alle ingiunzioni della realtà - diventa un elemento costitutivo dell'essere umano. E all'interno dell'Io la distinzione dei sistemi di funzionamento psichico (inconscio, preconscio e conscio) mette in evidenza la caratteristica di «effetto» di ciò che chiamiamo «pensiero cosciente» e la preponderanza assoluta dei processi di pensiero inconsci rispetto a quelli che vengono rappresentati alla coscienza. Perciò, anche lo scopo dell'analisi non è più quello di rendere conscio l'inconscio ma di cercare di far giungere l'Io (che è prevalentemente inconscio) dov'era l'Es. Conseguente a questa profonda modificazione teorica è la riflessione sulle nevrosi e sul problema dell'angoscia e quella sulla tecnica del trattamento. Con Inibizione, sintomo e angoscia (1925c) viene riesaminato il concetto di difesa inconscia dell'Io contro l'angoscia, ridimensionando il ruolo della rimozione e studiando il fondamentale meccanismo dell'isolamento, e viene riaffrontato il problema della genesi dell'angoscia e la sua caratteristica di segnale non solo di conflitto ma di pericolo per l'Io. Con gli ultimi scritti sul trattamento analitico (Analisi terminabile e interminabile e Costruzioni nell'analisi, entrambi del 1937) Freud problematizza poi la questione delle finalità dell'analisi, sia facendone vedere le implicazioni trasformative (e i punti insuperabili) generali sia quelle particolari sui singoli contenuti: alle spalle di questi scritti, ancora una volta si scorge la preoccupazione freudiana per un cambiamento che sia rispettoso di quel singolo individuo, che eviti dunque la suggestione intesa come apporto esterno, pur nel riconoscimento della necessità dell'altro - e, nella terapia, dell'analista. Fa parte di questo periodo anche il ripensamento, più volte tentato, di un tema costante del suo pensiero, quello sulla dimensione collettiva dell'umanità, a partire da Psicologia delle masse e analisi dell'Io per giungere a L'avvenire di un'illusione (1927) e al Disagio della civiltà fino a culminare nel 1938 in L'uomo Mosè e la religione monoteistica . Quest'ultima in particolare è un'opera testamentaria che ognuno potrebbe leggere assieme all'incompiuto Compendio di psicoanalisi (1938) per valutare quanto è disposto a farsi sollecitare e inquietare dagli interrogativi e dallo stile di pensiero di Freud, tanto più in un'epoca come la nostra che, in forme anche diverse da quelle della prima metà del XX secolo, vede risorgere nella dimensione collettiva i fantasmi che illu-soriamente pensiamo di poter reprimere nel nostro animo. Un bilancio critico dell'opera di Freud è impossibile, se non per affermare che l'individuo non è più pensabile allo stesso modo, prima e dopo la sua opera e che ogni persona che voglia ripensare in forma critica e aperta all'individuo non può non tener conto, ancora oggi, di questo modo di pensare e delle conclusioni cui porta. ALBERTO SEMI |